Secondo molti lavori di ricerca, il trasloco è la terza causa di stress psicologico tra  gli eventi della vita traumatici per la persona. Infatti la letteratura scientifica parla di indebolimento psicofisico della persona e di disorientamento esistenziale.

 

Tutte le esperienze di trasloco hanno qualcosa in comune: il cambiamento.

Per qualcuno tale cambiamento rappresenta un’esperienza positiva e desiderabile, mentre per altri è accompagnato da timore, preoccupazione e anche tristezza. Ciò dipende in larga misura dalla propria personalità e dalle esperienze di vita che hanno costruito via via il proprio personale modo di vivere il cambiamento.

È dunque il significato che diamo agli eventi che ci accadono a renderci felici, tristi, arrabbiati, ansiosi, speranzosi, etc.

Il termine traslocare significa “effettuare uno spostamento in un altro luogo”. Lo spostamento riguarda gli oggetti fisici ma anche le emozioni, la propria esperienza, vengono portate con sé. Significa anche lasciare ciò che era e conservarne nella mente le tracce, per aprirsi a ciò che il termine in sé suggerisce: un altro luogo, metafora per noi di nuove significative esperienze.

 

Le emozioni del cambiamento

Quali sono, dunque,  le emozioni più spesso connesse al cambiamento?

Sentirsi ansiosi o spaesati prima o durante un trasloco è assolutamente normale: sono reazioni che segnalano che vi è un cambiamento in atto. La nostra mente deve prepararsi, digerire e abituarsi. Successivamente capita di sentire tristezza, nostalgia e agitazione: anche queste sono emozioni del tutto fisiologiche, in quanto ci si trova immersi nella novità e per integrarla è indispensabile elaborare la perdita (del luogo, delle relazioni, delle proprie abitudini).

 

Perché è così importante avere cura dei sentimenti connessi al cambiamento?

Solo uno sguardo sereno ai sentimenti che stanno alla base del cambiamento può permettere di gestirlo in una condizione di benessere psicologico.

Ma per arrivare a comprendere questo è prima necessario esplorare che cosa succede quando si è immersi nel cambiamento. Quando le necessità e le incombenze pratiche da un lato proteggono e dall’altro affrettano e impediscono di utilizzare il tempo necessario per elaborare.

 

L’esperienza del cambiamento

La mia più recente esperienza è proprio il trasloco: lo spostamento del mio studio in un altro luogo, con degli altri spazi, in un’altra città. Nelle settimane precedenti il trasferimento,  mi sono posta parecchi interrogativi, le cui risposte sono giunte nei giorni successivi e stanno arrivando tuttora.

Spostarsi equivale a perdere qualcosa?

Non necessariamente. Per me ha significato (e significa, significherà per molto tempo, lungo almeno quanto la ricchezza della mia esperienza nello studio precedente) integrare  tutto il mio bagaglio professionale ed esperienziale in un nuovo contesto.  Non significa che tutto sarà come prima, non è nemmeno desiderabile che lo sia: ciò che era prima costituisce le fondamenta di ciò che di qui in poi si costruirà. Da soli? Certamente no: io lo farò insieme ai miei pazienti, quelli che mi “accompagneranno” nel nuovo studio e quelli che mi conosceranno all’interno del nuovo contesto.

Ebbene, posso dire che traslocare comporta un groviglio di emozioni che dapprima si concentrano nel corpo (nello stomaco, nella testa, siamo tutti diversi) e che sin da subito è necessario accogliere, per poi piano piano decifrare, nominare, significare.  

Tutte le emozioni che proviamo sono utili:

  • la paura ci aiuta ad essere cauti e a ponderare bene le nostre scelte;
  • la felicità ci permette di affrontare le novità con energia e con quel pizzico di incoscienza che ci aiuta a “decidere”;
  • la malinconia ci aiuta a non dimenticare l’esperienza che sinora abbiamo accumulato e ci permette di conservarla in memoria;
  • le emozioni  ci ricordano che siamo protagonisti di ciò che stiamo vivendo.

Le emozioni di tono negativo però possono  degenerare in effetti dannosi, se non ce ne prendiamo cura: la paura può bloccare l’azione, la malinconia può tramutarsi in depressione.

 

Traslocare significa infatti anche costruire, mettersi in gioco.

Sia che il trasloco sia frutto di una scelta sia che si tratti di una necessità, non dobbiamo mai perdere di vista che il trasloco non deve costituire una frattura con la propria esperienza di vita. Vi è sempre al suo interno un’opportunità, talvolta visibile e motivante, altre volte da ricercare. In altre parole, non si tratta di vedere il classico “bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto” ma di assumersi la responsabilità di non subire i cambiamenti, ma di orientarli in modo funzionale per sé, in sintonia con i propri bisogni.

Anche i compiti e le difficoltà che ci sembrano più grandi di noi, se affrontate un pezzetto alla volta, diventano gestibili.

 

Quali Fattori di rischio?

Quando si trasloca per necessità o per un cambiamento improvviso e non desiderato (motivi sociali, economici, etc.) ci si può sentire obbligati e vincolati da qualcosa di esterno. Non si tratta di una scelta. La motivazione è quindi collocata al di fuori di sé (motivazione estrinseca).

Il trasloco può anche destabilizzare e mettere alla prova le relazioni, persino le più significative. Ci si deve riadattare e integrare nel nuovo contesto preservando i propri equilibri e divenendo più flessibili, per fare spazio a nuovi equilibri. Ciò a maggior ragione quando ci sono figli piccoli, adolescenti o familiari anziani, disabili o malati.

Talvolta ci si sente soli, per l’assenza di persone di riferimento, sia dal punto di vista emozionale sia concreto.

 

L’importanza di attivare i fattori di protezione

Il Trasloco è un momento di rinnovamento e costruzione: il più importante fattore protettivo è lo spostamento del focus emotivo dagli aspetti negativi a quelli positivi.

Per poter affrontare al meglio le difficoltà, bisogna trasformarle in sfide, dando loro una connotazione evolutiva. È necessario dunque cercare di diventare protagonisti del cambiamento: trasformare la motivazione da estrinseca a intrinseca, cioè da fuori a dentro di sé. Il trasloco, in ogni caso, è il frutto di un processo di pensiero.

È anche importante cercare il sostegno delle persone di riferimento, all’interno o all’esterno della famiglia: non bisogna esitare nel domandare aiuto di natura pratica o, cosa altrettanto importante, supporto per gestire il sovraccarico emotivo e recuperare le energie psicofisiche.

Concretamente, si tratta di darsi il tempo di osservare tutto ciò che va modificandosi, non avendo nessuna fretta di sistemare o risolvere tutte le questioni che non sono urgenti e possono attendere: ambientarsi è un processo graduale, che richiede energia e pazienza. A poco a poco, vivendo giorno per giorno i passaggi del cambiamento, ci si orienterà e si potrà costruire così un nuovo equilibrio.